di Ranieri Polese
Corriere della Sera, 17 aprile 2020
Un giorno, parlando con un gruppo di ragazzi che gli chiedevano cosa fosse per lui scrivere e di chi preferiva scrivere, lui rispose con una specie di parabola. C'è lo scrittore, diceva, che vuole raccontare la vita di un uomo di affari di successo: ha costruito un'industria che produce rubinetti per l'acqua venduti in tutto il mondo, è diventato ricco e famoso. C'è invece lo scrittore che preferisce parlare dell'idraulico di un piccolo paese che, nonostante l'età, continua, senza chiedere nulla, a riparare i rubinetti della povera gente che non vuol perdere la preziosa acqua potabile. Tanti scrittori, ancora oggi, seguono l'esempio del primo; io no, ammiro il secondo, voglio raccontare le storie di persone che il mondo ritiene poco interessanti. Ecco, diceva, questo per me significa essere scrittore.
di Giancarlo Di Cataldo
La Repubblica, 17 aprile 2020
Se mai c'è stato un autore profondamente, convintamente trasversale, quello è stato Luis Sepúlveda: caro al lettore colto, al critico, all'intellettuale più arcigno, al militante più occhiuto, ma anche capace di far sognare legioni di bambini, e, perché no, di divertire inquietando, o, se preferite, di inquietare divertendo. Sepúlveda per gli intimi era Lucho. Un nome di battaglia che evocava la lotta, ma anche, per noi italiani, e lui amava profondamente il nostro Paese, e parlava benissimo la nostra lingua con un'inimitabile, fascinosissima cadenza lenta e latina, la luce.
di Simonetta Fiori
La Repubblica, 17 aprile 2020
È davvero un epilogo paradossale per uno scrittore che non ha mai voluto fare del dolore una professione. E che del carcere e della tortura subita da Pinochet ha scritto in modo tangenziale e con pudore, prestando la sua esperienza ad alcuni personaggi dei romanzi. Non voleva che la sua rovina fisica, il suo sperdimento, la sua umiliazione, il suo stare sospeso da terra appeso a un gancio da macellaio si trasformassero in maschera da palcoscenico, spendibile nel gran circo dei media e dell'editoria. Non voleva essere un personaggio ma una persona.
tratta dalla raccolta Poesie senza patria, edita da Guanda nel 2003
L'ultima nota del tuo addio
mi disse che non sapevo nulla
e che arrivavo
al tempo necessario
di imparare i perchè della materia.
Così, fra pietra e pietra
seppi che sommare è unire
e che sottrarre ci lascia
soli e vuoti.
Che i colori riflettono
l'ingenua volontà dell'occhio.
Che i solfeggi e i sol
raddoppiano la fame dell'orecchio
Che è la strada e la polvere
la ragione dei passi.
Che la via più breve
fra due punti
è il giro che li unisce
in un abbraccio sorpreso.