Nella scelta del proprio percorso di lettura, spesso il gruppo procede per assonanze tematiche, per rimandi e rinvii stilistici o per suggestioni descrittive. Così, la passione amorosa sapientemente ritratta da Simenon ci ha condotti per mano nei meandri di un sentimento di fronte al quale la ragione dichiara la propria resa: l'amore. Per dirla con le parole di McGrath: " e in ogni caso sono un medico, non ho nulla da rimproverare a chi si ammala. E come potrei rimproverare a te di esserti innamorata?".
Pubblicato nel 1996 per Random House con il titolo Asylum, viene tradotto in Italia da Matteo Codignola per Adelphi l'anno successivo. Il titolo, per ragioni che immaginiamo di natura commerciale, diventa Follia.
La storia
Sullo sfondo inquietante e senza scampo di un ospedale psichiatrico criminale si consuma la storia d'amore fra Edgar Stark, un affascinante scultore uxoricida, e Stella Raphael, la giovane moglie annoiata ed inquieta di Max, uno dei terapeuti più brillanti nonché vicedirettore della struttura. La vicenda è narrata dalla voce di Peter, un collega di Max che denuncia, sin dalle prime righe del racconto, un'insana attrazione per le "storie d'amore catastrofiche". In un crescendo degno delle migliori narrazioni gotiche e perturbanti, Patrick McGrath avviluppa il lettore come un ragno nella propria tela.
Nel 2005 esce il film Follia (Asylum) per la regia di David Mackenzie.
► Il film è disponibile nel nostro catalogo
"Non poteva restare lontana da Edgar. Ce la metteva tutta, va detto, e per un attimo, se si fermava a soppesare le possibili ripercussioni di quello che stava facendo, provava un cupo sgomento. Ma era una reazione passeggera. Sentendolo così vicino Stella non riusciva a controllare la continua, instancabile frenesia della propria immaginazione [...] e lo sentì tornare, quello stato di grazia cui riusciva a pensare solo come a un'intossicazione".
Nato a Londra nel 1950 cresce in un luogo molto particolare: una dependance dell'ospedale psichiatrico criminale di Broadmoor (Broadmoor Lunatic Asylum), dove suo padre è direttore sanitario e dove stupratori e assassini lavorano nel giardino di famiglia. Il legame perturbante con questo luogo sarà destinato a riverberarsi in tutte le sue opere.
A ventun'anni si trasferisce in Canada, dove lavora nel Centro di salute mentale dell'ospedale di Oakridge. Non segue però le orme paterne ma si laurea in letteratura inglese ed americana. La scrittura diventa la sua patria d'elezione e la psichiatria il bacino cui attingere le proprie storie. Nel corso della sua vita, trascorre anche un breve periodo su un'isola dell'Oceano Pacifico dove, alla stregua di un eroe romantico, si guadagna da vivere raccogliendo granchi, vongole e suonando la chitarra nel bar locale. "Ho pensato di vivere lì per sempre", dirà. Si trasferisce, infine, a New York dove vive tutt'ora con la moglie.
«Quando ero piccolo vivevo vicino a un manicomio. Ero cosciente della grande sofferenza che commessi da (e su) molti di quei pazienti. Non sono mai stato impaurito da questo e sono stato in grado di reprimere la paura e l'ansia che sarebbe la risposta naturale di un bambino. Questo accadde anche grazie all'amore dei miei genitori e alle loro rassicurazioni che mi davano grande conforto. Allo stesso tempo ho cominciato a leggere storie dell'orrore, devo dire con un certo entusiasmo. Quando avevo nove anni amavo moltissimo Edgar Allan Poe. In realtà mi piacevano tutti gli scrittori horror. Oggi credo che questo sia stato il modo in cui sono riuscito a controllare e contenere questo mondo inquietante nel quale sono cresciuto. Più tardi ho cominciato a creare io stesso delle storie dell'orrore e, in modo per nulla sorprendente, ero attratto dalla follia come vero e proprio tema letterario. Con il passare del tempo sono rimasto profondamente coinvolto dal dipingere il caos della follia all'interno dell'ordine della narrativa romanzesca. Il fascino che subisco nei confronti di questo problema non si è mai interrotto, fino a oggi».
[da un'intervista di Maurizio Francesconi e Alessandro Martini - Corriere della Sera]
«L'amore mi interessa in quanto fonte ideale di quel disordine che è necessario alla organizzazione della trama».
[da un'intervista a Francesca Borrelli - Il manifesto]
[da un'intervista a cura di Vanni Santoni]
Quante ore lavori al giorno e quante battute esigi da una sessione di scrittura?
Non ho limiti di tempo, ma ho una regola fissa. Devo fare mille parole, quindi scrivendo in inglese cinquemila battute. Solo se arrivo a mille parole mi sento uno che ha fatto il suo dovere. A volte ci vuole un'ora, a volte tutto il giorno.
Dove scrivi? Hai orari precisi?
Scrivo al mattino, il più presto possibile, devo essere a mente vuota. A casa ho una scrivania che cerco di tenere solo per la scrittura e non per il resto, non ci metto mai la posta, le bollette o i giornali.
Fai preproduzione o scrivi di getto?
Non faccio molta preproduzione, in genere parto da una singola immagine o scena, e la ricerca la faccio mentre vado avanti. Faccio anche schemi e grafici, ma sempre durante i lavori, mai prima.
Quante riscritture fai? Tendi a buttare giù prima tutto o cesellare passo per passo?
Decine, a volte centinaia. Tengo in parallelo moltissimi file, butto via centinaia di pagine, a volte riscrivo intere parti. Tendenzialmente cerco di andare subito verso la chiusura, di getto scrivo subito almeno un centinaio di pagine. Quando sento che è abbastanza mi fermo, leggo quello che ho fatto e vedo se andare avanti oppure cambiare tutto e ripartire, sempre con l'obiettivo di chiudere la bozza. Solo a quel punto passo alla revisione.
Tic o rituali per favorire la concentrazione?
Non credo nella scaramanzia, sto a sedere e scrivo. Anzi a pensarci bene qualcosa faccio, per ogni romanzo compro un quaderno nuovo e dei lapis nuovi, e ripulisco completamente la scrivania dalle tracce del libro precedente. Poi mi metto sotto.
Come hai esordito?
Il mio primo libro era una raccolta di racconti ed esordire fu molto difficile perché nel mondo anglosassone per farlo devi trovare un agente - se non arrivano da un'agenzia letteraria le case editrici difficilmente leggono i manoscritti - e non è una cosa semplice.
Come è cambiato il tuo modo di lavorare da allora?
Sono più lento. L'approccio al testo non è cambiato molto ma sono più lento, perché scrivere è diventato più difficile. Quando cominciai a scrivere avevo tantissime idee per romanzi, pensavo che sarei stato occupato tutta la vita con quelle idee, invece è andata a finire che le ho usate tutte da tempo e ora quindi è più difficile trovarne di nuove e buone, tocca scavare sempre più profondamente.
Le opere che ti hanno più influenzato per quanto riguarda la pratica e il mestiere della scrittura.
Sicuramente Daniel Martin di John Fowles. Quando l'ho letto, qualcosa nella natura di quel libro mi ha fatto scattare una molla dentro, per la prima volta ho pensato "questo libro avrei voluto averlo scritto io", e allora ho deciso inderogabilmente che di mestiere avrei scritto libri.
Restituire l'effervescenza di una discussione in cui si è direttamente coinvolti non è mai semplice. Di seguito trovate alcune questioni sulle quali il gruppo ha voluto riflettere mettendo in gioco diversi punti di vista e diverse sensibilità:
A partire da questo incontro e dalle suggestioni che il romanzo di McGrath ha innescato, abbiamo pensato di legare ogni lettura ad un'immagine, un dipinto, una scultura, una creazione artistica, facendoci guidare solo dal nostro immaginario.
Questi i rimandi che sono emersi:
- WILLIAM TURNER, Tempesta di neve. Battello a vapore al largo di Harbour's Mouth, 1842, olio su tela (91×122 cm), Londra, Tate Britain
- JOHN EVERETT MILLAIS Ophelia, 1851-1852, olio su tela, (76 cm x 1,12 m), Londra, Tate Britain
- MEDARDO ROSSO, Ritratto di bambino (Ecce puer), post 1906, gesso, (cm 42 x 32 x 52), Milano, Galleria d'Arte Moderna
- MEDARDO ROSSO, Dame à la voilette, 1893, gesso, (cm 61,5 x 52), Milano, Pinacoteca di Brera (opera non esposta)
- MEDARDO ROSSO, Madame X, 1896, cera su struttura in gesso, Venezia, Ca' Pesaro - Galleria Internazionale d'Arte Moderna.