SECONDO PIANO
INAUGURAZIONE sabato 7 marzo ore 18:00
A cura di GIANNI GARRERA E ALBERTO ZANCHETTA
Nel corso del Novecento abbiamo assistito allo sgravio dalle categorie artistiche, ma il secolo scorso ci ha anche affrancato dai basamenti delle sculture e dalle cornici dei quadri. Matteo Fato [Pescara, 1979] ha avuto l'ardire di rendere nuovamente attuali e familiari sia gli uni che le altre; le basi delle sue opere sono costruite non a caso con lo stesso legno di cui si compongono le cornici, che in realtà non sono altro che le casse usate per trasportare i dipinti. Per l'artista il contenitore diventa quindi l'ornamento e il completamento dell'opera.
È innegabile come la pittura e la scultura abbiano affrontato lunghi periodi di crisi; ai tempi in cui veniva denigrata come "fermacarte", la scultura ha cambiato tipologia e denominazione, passando da ready-made ad assemblaggio, da installazione a environment, trovando una valvola di sfogo persino nell' idioma del design. Ben più duratura è la crisi imputata alla pittura, la quale non accetta troppi compromessi con la sua identità, e con la sua stessa autenticità. Che questa ennesima crisi (perché non è la prima né sarà l'ultima) non alluda dunque a una consapevole rinascita? La parola greca krinein, che dà il titolo a questa mostra, ha molti significati: distinguere, scegliere, giudicare, interpretare, ma anche condannare oppure entrare nella fase cruciale di una malattia. Inoltre, Krinein è radice sia di "crisi" che di "critica", ed è a partire da tali presupposti che l'artista ha affrontato il progetto di questa esposizione, obbligando se stesso a "capire la transizione da uno stato all'altro".
Ogni opera di Fato evoca le relazioni che si costituiscono per forza interiore, dichiarando apertamente il proprio intento: documentare non il soggetto ma la relazione tra l'artista e il suo mezzo. Attraverso la specificità dell'apparato tecnico, e grazie all'alibi delle tematiche adottate, Fato sfida di continuo la percezione retinica: «Credo che chiunque indaghi il linguaggio visivo della pittura debba fare i conti prima di tutto con se stesso», ha detto in un'intervista del 2008. Esiste infatti nelle sue opere una necessità tutta interna, analitica e autoriflessiva, tesa a investigare la complessa natura della pratica pittorica.
Rompendo le righe e infrangendo le regole, Matteo Fato propone a Lissone un autentico spazio espressivo (anziché un semplice spazio espositivo) in cui è possibile sdoganare la
sintassi delle forme e dei colori, dando libero corso a una miscellanea di interventi. In mostra sono presenti opere degli ultimi anni che dialogano tra loro in modo sincronico, restituendo così una visione ampia e completa della ricerca intrapresa in seno alla pittura, al disegno e alla scultura. Autoritratti e paesaggi rimandano ai grandi temi della pittura antica, rivisitata con uno sguardo rivolto al presente. Tra i motif cari all'artista viene qui riproposto un ciclo dedicato alla pigna, il frutto delle pinacee che in quest'occasione assume una valenza araldica, come nel caso dei dipinti con i cavalieri e le armature. Oltre a disegni digitali e visori stereoscopici, in una bacheca sono esposte le riproduzioni di tre opere su carta, realizzate per la rivista CO2, a cui si aggiunge un intervento inedito, pensato per un quarto numero mai pubblicato.
Riannodando il corso della storia - quella personale e quella dell'arte - Matteo Fato si interroga ancora una volta sui nessi e i limiti che intercorrono tra parola e immagine, tra segno e significato, restituendoci una ricca scorribanda all'interno del suo atelier pescarese.
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