Scorro le pagine di questa «Redipuglia lissonese», faticosamente ed appassionatamente raccolta da Giorgio Tagliabue, e tante sono le domande che affiorano alla mente. Sono circa 180 (nemmeno il numero è sicuro) i concittadini caduti sui campi di battaglia della Grande Guerra e sotto i nostri occhi scorre il poco che sappiamo ancora di loro: una fotografia (per alcuni neppure quella), qualche cenno biografico e familiare, la storia militare, il luogo in cui sono morti e quello in cui sono sepolti - anche questo spesse volte incerto.
Questi giovani sono stati, o avrebbero potuto essere i nostri nonni, anzi ormai bis o trisnonni; di sicuro avevano sogni e speranze come tutti i giovani, ma non hanno potuto realizzarle; qualcuno aveva già fatto famiglia, aveva dei figli, mentre molti altri lasciavano a Lissone una morosa; loro che non avevano mai viaggiato, sono partiti per località sconosciute sempre sperando di poter tornare a casa: eppure questo non è stato loro concesso...
Certo, potremmo cavarcela sostenendo che «hanno compiuto il loro dovere», che hanno sparso il loro giovane sangue «sul campo dell'onore» e «per la difesa della Patria»... Ormai però, passati cent'anni, sentiamo che queste espressioni - così usuali nella retorica del passato - non bastano a spiegarci il dramma di 180 vite spezzate e il dolore sopportato dalle molte più persone che componevano il cerchio dei loro affetti. «Perché?» è la domanda che nasce dalla visione di questi volti eternamente giovani in bianco e
nero, la stessa che sorge davanti alle vittime delle grandi tragedie di sempre: dalle guerre ai disastri naturali, dalle migrazioni alle epidemie.
Non abbiamo risposta, o meglio ognuno ha la sua. Ciò che però resta un dovere collettivo è la memoria, che proprio quest'anno d'anniversario abbiamo coltivato pubblicamente attraverso le manifestazioni del ciclo «Era una notte».
Anche se è passato un secolo, questi lissonesi hanno il diritto di essere ricordati uno per uno - come si fa in queste pagine -, ciascuno unico e irripetibile nella sua personalissima vicenda, eppure simbolo di una storia sulla quale non dobbiamo cessare di meditare: perché anche la tragedia abbia infine un senso.
Giorgio Tagliabue è partito proprio così, dalle lettere ritrovate di un lontano congiunto perito nella Grande Guerra, ed è arrivato a ricostruire la storia di tutti. Grazie a lui questi 180 lissonesi non sono più «militi (quasi) ignoti», ma ritornano patrimonio comune e - come avviene in modo monumentale sui gradoni del sacrario di Redipuglia - ci ripetono un «Presente!» che chiede di essere ascoltato. Per questo gli siamo molto grati e offriamo qui il frutto della sua fatica come percorso culturale e civico di valore cittadino.
Il Sindaco
Concettina Monguzzi