MAC LIVELLO 2
INAUGURAZIONE: giovedì 10 dicembre ore 19:30
OMAGGIO A CURA DI ALBERTO ZANCHETTA
Una volta Salvo ha detto che «ciò che sta tra un imbiancare un muro e fare la Gioconda si può chiamare pittura». Se a lungo andare le pareti rischiano di scrostarsi, i quadri di Salvo non sono fatti di banale calce e tempera muraria, al contrario: sono come pietra dura, imperturbabile, solida e solenne. Non è un caso che nel trattato Della pittura -Imitazione di Wittgenstein , scritto dall'artista nel 1989, ricorra più e più volte il riferimento alla durezza delle pietre, che il pubblico aveva imparato a riconoscere nelle lastre di marmo da lui realizzate nei primi anni Settanta. La "letteratura epigrafica" incisa in quelle opere preannunciava una pacifica messa a morte dell'arte concettuale, quasi fossero delle pietre miliari che scandivano il ritorno alla pittura.
Tra critica e celebrazione, l'opera elegiaca di Salvo sentenziava con rara intelligenza sulla catatonia della fine del secolo,intuendo che l'iconoclastia sarebbe stata destinata al koimeterion , "luogo in cui si dorme". Le sue lastre marmoree possedevano inoltre il caustico orgoglio dell'[auto]ironia: Io sono il migliore , Amare me,Salvo è vivo/Salvo è morto,Respirare il padre, Più tempo in meno spazio, frasi che si opponevano all'apostasia degli anni Settanta, precorrendo viceversa il recupero dei pennelli e delle tele per ristabilire un rendez-vous con il passato, troppo a lungo negato (i suoi Autoritratti benedicenti, datati agli stessi anni, sono una prefigurazione di quest'intenzione di "trarre l'arte in Salvo", per rispetto e riconoscenza nei confronti della tradizione).
Pur escludendo l'immagine, le lapidi di Salvo erano in grado di evocarla, imponendo una posterità che sarà appannaggio esclusivo della figurazione; la parola veniva gradualmente meno (perdendo la sua preminenza), ma non per questo il contenuto scompariva o era meno loquace, raggiungeva semmai l'agognata sintesi tra concetto ed esecuzione. «La frontiera di questa sinteticità - affermava l'artista - è che la rappresentazione resti leggibile ». Rinunciando alla verbalizzazione, l'idioma di Salvo si era convertito in pittura, senza più la necessità di doversi raccontare; la lingua smetteva infatti di articolare le parole e iniziava ad assaporare l'impasto della pittura, soddisfacendo la categoria dell'estetica che noi solitamente chiamiamo "gusto".
Lasciandosi alle spalle l'ambage concettuale, Salvo è stato tra gli artisti che per primi hanno ripreso a frequentare i musei per poter dialogare con il passato. È su queste premesse che il MAC di Lissone rende omaggio a un artista che ha sempre saputo infondere grazia e ingegno nel suo lavoro. Come i sassolini di Pollicino che lo riconducevano a casa, le Lapidi di Salvo ci permettono di risalire a ritroso nel tempo, nella storia e nell'arte, ritrovando le radici stesse dell'artista: i minareti, le moschee, le chiese e le cattedrali da lui dipinte nel corso degli anni sono infatti una logica prosecuzione delle lapidi qui esposte.
Sono cioè luoghi della preghiera, della memoria e del silenzio su cui siamo invitati a vegliare da quando l'artista ci ha lasciati prematuramente.
Salvo. Leonforte, 1947 - Torino, 2015.
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